L’Aquila o L’Accademia dell’Immaginario

academia Immagine

di Maria Cattini, Linkiesta.it «Nessuno tocchi l’Accademia dell’Immagine. Non capisco l’atteggiamento della Regione Abruzzo, di Chiodi e dei suoi assessori e non mi adeguo», dice uno che vuole candidarsi alle prossime elezioni regionali. «L’iniziativa del presidente della Regione, Gianni Chiodi, di convocare l’Assemblea dei soci per mettere in liquidazione l’Accademia dell’Immagine è l’ennesimo atto scellerato di una Regione che ha deciso da tempo di assassinare la cultura aquilana», sostiene un’altra che può vantare l’immancabile difesa d’ufficio dei più costosi carrozzoni politico clientelari che la politica aquilana abbia potuto inventare: dal Parco Scientifico e Tecnologico a Abruzzo Engineering. Per non dimenticare le battaglie che la stessa “pasionaria” del “polo elettronico della cassa integrazione” ha portato avanti negli ultimi venti anni alla ricerca del consenso elettorale. Inutile spiegarle che senza veri centri di ricerca e innovazione, indipendenti dalla politica, i poli elettronici non avrebbero avuto alcun futuro a L’Aquila, come nel resto d’Europa. A lei, parlare della realtà non è mai interessato.

«Uno scippo, al ladro! al ladro!», è stata l’unica cosa che ha ripetuto davanti all’ennesimo fallimento, mancando probabilmente di altre argomentazioni. L’ultimo scippatore additato agli aquilani- anzi, l’ultimo “assassino”- sarebbe niente meno che Gianni Chiodi. Il Presidente della Regione- secondo questi eroici difensori della patria- vorrebbe liquidare l’Accademia dell’Immagine per il sol gusto di distruggere la città e la sua storia. Anche se quella storia racconta dell’ennesima Istituzione culturale aquilana alla canna del gas, alla disperata e continua ricerca di finanziamenti pubblici ben prima che Chiodi venisse eletto. Altro che “il miglior fermento culturale della città”, come sostengono alcuni, immaginando una realtà che non è mai esistita.

«Un ente che-  sostengono impunemente- ha sfornato numerosi professionisti che oggi lavorano con successo nel cinema”, pare che non bastino neanche le dita dei piedi per contarli. Non avendo altro, ci ricordano sempre del solito fonico «di recente premiato con il David di Donatello Alessandro Palmerini». Peraltro figlio di uno degli storici amministratori dell’Accademia e immediatamente assunto nell’Accademia stessa dopo il diploma.

A Chiodi, più interessato alla realtà dei disastrosi bilanci che all’immaginazione degli amministratori aquilani, è nato più di un sospetto che l’Accademia sia stato il solito alibi utilizzato in città per elargire denaro pubblico ai soliti noti senza tanti perché. Eppure le domande, alle quali nessuno osa rispondere, sarebbero tantissime. Per quale motivo e chi, ad esempio, agli inizi degli anni 2000, rifiutò l’unico progetto credibile per il futuro dell’Accademia dell’Immagine, ossia quello di fonderla con l’Università?  Perché Storaro decise di rivedere drasticamente il suo ruolo nell’Accademia? Come furono scelti i dirigenti dell’Istituto? E per quali meriti furono selezionati i docenti? A parte le dichiarazioni stile “L’Aquila bella mè”, quanti ragazzi che hanno pagato fino a 2.900 euro l’anno di retta hanno poi trovato dei veri sbocchi lavoratori nel settore? Come mai, dopo i primi cinque anni di attività, ci fu un crollo di iscrizioni? Esistono degli studi statistici che possano oggettivamente avvalorare la tesi che l’Accademia sia stata una vera risorsa per la cultura e per la città, oltre che uno stipendificio per assumere, senza l’obbligo che vige nel settore pubblico, gli amici degli amici? E, infine, chi è il vero responsabile di quei bilanci disastrosi che hanno costretto Chiodi, da esperto commercialista, a fare l’unica cosa possibile, chiederne la liquidazione? A questa domanda fuggono  proprio tutti.

Ma L’Aquila, non dimentichiamolo, anche per questo mira a diventare la “Capitale Europea della Cultura 2019”. Parliamo della stessa città che prende a pedate Renzo Piano, forse l’architetto italiano vivente che può vantare il maggior numero di riconoscimenti internazionali. La città dove capita che il sindaco e il suo capo gabinetto si accusino a vicenda di “metodi oscuri”  e di mafia bianca ma poi ci si scandalizza che un provocatore di professione come Oliviero Toscani dica che L’Aquila sia stata trattata come “una vecchia puttana”. E anche Toscani, come Gianni Minà trent’anni fa, è stato costretto a scappare dall’arroganza e dal falso orgoglio di un popolo che rifiuta la realtà preferendo sollazzarsi in un “immaginario” tanto costoso quanto sciagurato.

L’Aquila è diventata solo un’Accademia dell’immaginario, alimentata a suon di denaro dei contribuenti, che da anni tradisce i suoi cittadini con sogni improbabili e aeroporti in aria.

Torna in alto