L’Aquila, 50 anni del Tsa: inizia l’era della “cultura allo champagne”, 16 milioni di euro di debiti in dieci anni
di Maria Cattini – “I peggiori sporcaccioni fanno a volte qualche opera buona. Ma ad alcuni càpita di guardarsi allo specchio e di vedersi disonorati. Anche loro hanno avuto diciott’anni, un tempo!.. E a volte si ricordano”: così, nel 2009, Ferdinando Taviani, professore di Storia e Critica del Teatro presso l’Università dell’Aquila, ha provato a riassumere la parabola della “cultura” a L’Aquila.
Perché un giudizio tanto autorevole quanto severo nei confronti dei protagonisti di una parte fondamentale della storia della Città?
Per capirlo bisognerà abbandonare il percorso più prettamente culturale e il solito elenco di “grandi successi” di “rito”, rispolverato a ogni solenne celebrazione. Dovremmo, invece, avventurarci sui sentieri meno nobili della politica e concentrarsi sulla storia economica del Teatro Stabile. Ossia la parte inedita, quasi misconosciuta, ma interessantissima del racconto. Proprio quegli aspetti che, oggi, qualche superstite dell’età d’oro del Teatro Stabile vorrebbe far dimenticare, se non cancellare dai libri di storia.
Gli anni 60 si erano chiusi con almeno due “opere buone” che riscossero un indubbio successo di critica e di pubblico: gli “Incontri teatrali” promossi da Errico Centofanti e Luciano Fabiani, che dal ’66 in poi portarono a L’Aquila le migliori avanguardie dell’epoca; e, nella stagione 68-69, il “Dio Kurt”, diretto da Antonio Calenda, con Gigi Proietti. Da quella prima esperienza, nacque un proficuo e valido connubio artistico tra il Tsa e Calenda che successivamente mise in scena altri tre spettacoli: ”Operetta”, ”Orestiade” e ”La cortigiana”, presentato alla Biennale di Venezia nel 1971.
Ed è probabilmente il 1971 l’anno della svolta nella gestione del Teatro Stabile.
Fabiani e Centofanti useranno il Tsa per affermarsi anche politicamente, rispettivamente nella Dc e nel Pci. I due trasformarono così il “laboratorio teatrale” in un vero laboratorio politico d’avanguardia dove si sperimenterà, con qualche anno di anticipo rispetto il resto del Paese, il modello italiano del consociativismo: un mero sistema di accomodamenti e compromessi per il controllo del potere. In questo senso, i due furono sicuramente degli innovatori. Fabiani fece il salto di qualità e venne eletto Consigliere regionale della Democrazia Cristiana, mentre Centofanti divenne consigliere e assessore al Comune dell’Aquila, dal 1971 al 1980, e membro del Comitato Regionale Abruzzese e del Direttivo della Federazione dell’Aquila del Pci. Sempre Centofanti, al consolidato ruolo nel Tsa aggiunse quello di membro del Consiglio d’Amministrazione della Società Aquilana dei Concerti.
fotoEcco perché Luciano Fabiani, sicuro che davanti ai “primi buchi” del Tsa nessuna opposizione politica avrebbe gridato allo scandalo, ricorse allo sciagurato stratagemma contabile del bilancio differenziato o indebitamento volontario, con due scopi principali: nascondere i debiti e continuare a finanziare costose produzioni teatrali concorrenziali con quelle degli altri grandi Teatri Stabili.
Nel 1973, a solo dieci anni dalla fondazione, è L’Aquilasette, settimanale fondato da Remo Celaia, a lanciare il primo allarme: “TSA: deficit di mezzo miliardo”, “per sanare il bilancio saranno necessari autentici equilibrismi”. Cinquecento milioni di lire del 1972- tabella di conversione Istat alla mano- corrispondono agli attuali 3 milioni e 300 mila euro. Per intenderci, quasi il doppio dell’indebitamento che sta portando oggi alla chiusura dell’Accademia dell’Immagine.tsa_bilanci Ma quelli erano altri tempi e l’Italia godeva ancora di una solida economia. Malgrado un esposto presentato alla magistratura dal consigliere comunale del Pli Manlio Marinelli, il Consiglio comunale non avrà difficoltà ad approvare il risanamento dei conti. Fu sostenuta una tesi che, da allora, ci verrà ripetuta infinite volte: “bisogna evitare la crisi economico-finanziaria della Istituzione culturale, che rappresenta per l’Abruzzo un tradizionale patrimonio di grande valore”. Ma, come per tutto, c’è sempre una prima volta. L’errore vero fu, poi, cadere nel vizio.
Ed infatti, né Centofanti, né Fabiani, tantomeno suo cognato Peppino Giampaola, si preoccupano più di tanto di quei debiti: “la cultura costa”, cominceranno a sostenere impunemente in risposta ai pochi che osavano criticarli. Sempre nel 1973, i tre proposero a Carmelo Bene di portare in scena ”La cena delle beffe” di Sam Benelli. “Il Tsa, che fino ad allora aveva cercato di produrre gli spettacoli in relativa economia,- testimonia Antonio di Muzio- si trovò improvvisamente a ”sperperare” denaro per i progetti di Carmelo Bene, che aggravarono i debiti dell’ente teatrale con le banche cittadine.” Convinti che lo Stato sarebbe sempre intervenuto, in un modo o nell’altro, a ripianare i debiti, il Tsa iniziò l’economicamente devastante stagione delle grandi tournée: Europa, Sud America, Canada e Australia. Tanto che pagavano loro?
Nel 1979, muore prematuramente il costruttore Fortunato Federici – ricordato insieme a Barattelli come uno dei pochi veri mecenati in città- che, oltre a ricoprirne il ruolo di Presidente, era stato anche un importante sostenitore economico privato del Tsa tanto da esporsi personalmente per diversi miliardi di lire. Al suo posto viene nominato l’ingegner Claudio Santini ed entra in scena, nel ruolo di vice prsidente, un altro ever green della cultura allo champagne aquilana: Marco Fanfani, in quota quota Psi.
Gli incarichi dirigenziali, infatti, rimasero gli stessi: direttore Luciano Fabiani (Dc), vice Errico Centofanti (sempre fedelissimo Pci). Antonio Calenda, senza troppi imbarazzi, nel marzo del 1980, poco prima che la notizia del gigantesco profondo rosso del Tsa divenisse di pubblico dominio e di essere accompagnato alla porta del Teatro dove non sarebbe più rientrato, dichiarò con orgoglio alla stampa: «La mia più grande soddisfazione è che il teatro dell’Aquila sia in attivo da tre anni. La politica dei costi contenuti è fondamentale. Il teatro si fa per simulare: con poco si dovrebbe dare il senso della ricchezza».
A dicembre del 1980, scoppia lo scandalo: le esposizioni del Tsa ammontano alla stratosferica cifra di 5 miliardi e mezzo di lire del 1982, più di 12milioni di euro attuali (dati Istat).
Così il 1980 avrebbe segnato un nuovo punto di svolta nella storia del Tsa. “Il Tsa fu ancora una volta investito da una serie di avvenimenti che scossero dalla fondamenta il massimo ente teatrale abruzzese”, ha scritto Antonio Di Muzio. I debiti, Centofanti, Fanfani, l’Atam, il Tsa ai quali, solo un anno dopo, sempre grazie alle ingerenze dell’onnipresente Centofanti, si aggiungerà anche L’Uovo. Sembra di parlare dei problemi e di personaggi di oggi, ma sono passati quarant’anni da allora. Quarant’anni di ripianamento di bilanci durante i quali, oltre alla città, finirà con l’impoverirsi anche la cultura.
La lunga storia del Tsa e dei debiti non è ancora conclusa. Sta per iniziare, infatti, l’era delle leggi regionali tappabuchi.
(Continua)
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