Terremoto Emilia Romagna: l’esercito dei volontari, eroi per caso

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di Maria Cattini, Linkiesta.it - San Felice sul Panaro, giugno. Sono passati solo 30 giorni dalla prima scossa che ha devastato questa terra ma la macchina degli aiuti si riorganizza in continuazione, adattandosi a nuove situazioni e programmando scenari futuri.
Se da una parte troviamo gli enti locali impegnati a gestire la fase emergenziale, dall’altra ci sono gli Angeli del Terremoto, sempre gli stessi in qualsiasi parte del mondo. Il medico, il Vigile del Fuoco, il militare, il veterinario, per finire al volontario, poco presente nelle passerelle mediatiche ma decisivo per la gestione della quotidianità delle popolazioni colpite dal sisma.
«Era un’esperienza che avrei voluto fare da qualche tempo, ma ogni scusa è buona per rimandare. Poi una delle scuse è venuta a mancare, così quando mi hanno chiamato ho risposto: presente». Questa l’affermazione di Paolo, volontario alla prima chiamata.
E così ti ritrovi in un mondo fatto di sudore, fatica, ritmi frenetici, dove l’età sembra non avere senso in una famiglia allargata come questa, grande spirito di altruismo e solidarietà, con capacità di adattamento alle molteplici situazioni che si creano e la capacità di dare risposte concrete, mantenendo uno spirito collaborativo e il sorriso sulle labbra.
Al Campo Scuola Materna/Elementari sono tanti i volontari che supportano l’amministrazione comunale: dalla Protezione Civile di Meldola, all’Associazione Il Molino di Bertinoro, dall’unità cinofila di San Biagio ai sommozzatori di Zocca, alle Avis di Casalmaggiore e L’Aquila. Tanti volti, tante storie. Unico comune denominatore: eroi per caso della quotidianità nell’emergenza.
Primo fra tutti il capo squadra, Francè, così chiamato da tutti per le sue origini siciliane. Francesco Pellegrino, 45 anni, sottufficiale dell’aeronautica militare, Consigliere comunale a Meldola. All’impegno politico, “un terrone che si mette in gioco in una terra del nord”, è seguita la sfida della creazione della Protezione civile a Meldola: una trentina di soci, di cui solo la metà operativi. “Durante l’emergenza neve abbiamo avuto il sangue freddo di salvare un infartuato con due metri e mezzo di neve. Un eroe? No, solo una persona al servizio degli altri”. Pecche e virtù dell’organizzazione di questo campo? “Abbiamo ereditato una situazione organizzativa difficile e in pochi giorni siamo riusciti a rimettere in carreggiata il campo in sinergia con le associazioni del posto e con l’amministrazione locale. E’ un campo non sicuro dal punto di vista logistico, ma oggi questo è quello che passa il convento. Per il resto, con le potenzialità dei mezzi e degli uomini a disposizione, riuscire a dare 1.200 pasti al giorno, compresa la consegna a domicilio e la consegna da asporto, è un obiettivo ambizioso”. I volontari?

“I volontari sono sempre bene accetti ma se sono mancate delle regole codificate scritte, è perché non siamo in un ambiente di lavoro, ai volontari non puoi imporre nulla. Il decalogo sta nel buon senso. Spesso si sceglie la strada del volontariato come una scelta emotiva ma non si è preparati alla durezza del lavoro. In questo mi sento di spezzare una lancia in favore delle Forze Armate che in situazioni come queste sono state una garanzia”.

Da Meldola arriva anche Emanuele, metalmeccanico, responsabile della cucina. Un omone grande e grosso che viene da Predappio e rifiuta, imbarazzato, una polo in regalo “perché dalle mie parti mi segano le gambe se indosso qualcosa di rosso”.
Gianluca, 44 anni, di professione bancario, sommozzatore alla sua prima esperienza è arrivato con l’Associazione CSS. Ha lavorato anche 20 ore al giorno, ma torna a casa stanco e felice della bella esperienza. Un padre eroe per i miei bimbi? No. Per me è stata come una chiamata. Nel terremoto dell’Irpinia ancora non c’era la Protezione Civile di Zamberletti. Abitavo a Napoli e ci trovammo, da terremotati e sfollati, abbandonati a noi stessi senza che nessuno ci portasse una bottiglietta di acqua, un pasto caldo, un tetto.

Ecco, per me, la Protezione Civile deve fare questo nella prima emergenza, assistere la popolazione e per questo mi sono sentito di partire volontario”.

“Quando siamo arrivati, 15 giorni fa, molti bimbi del campo non interagivano: paura, traumi, etnie diverse. Ora giocano insieme, quasi sereni. Questa è la nostra maggiore soddisfazione”. Il problema religioso nel campo? “Nei confronti dei musulmani c’è ignoranza più che intolleranza. Dobbiamo fare mea culpa, c’è scarsa cultura di noi italiani nel capire le tradizioni altrui. Nel menù di oggi abbiamo messo anche la carne macellata secondo i criteri della legge islamica, altrimenti sono costretti a mangiare solo tonno e merendine o pasta in bianco”. I volontari? “Il volontariato è selettivo, nessuno è obbligato, vengono solo le persone vere. Ci sono metalmeccanici, aspiranti pompieri, studenti, un mondo molto eterogeneo, mancano i figli di papà, che stanno a casa a vedersi l’Italia”.
Claudio Moras – 68 anni, insegnante e chef di cucina da 50 anni, da Castrocaro Terme. “Perché sono partito? Mi sentivo in dovere di farlo da friulano che non aveva potuto dare una mano nel terremoto del Friuli. Sono già stato nei campi in Valnerina, a L’Aquila con Vissani per far da mangiare a 1800 persone. Bella esperienza? Sì e no. I volontari sarebbero tutti da baciare perché hanno dato molto più di quanto è umano chiedere. Io personalmente avrei potuto e voluto fare molto di più. E’ mancata un po’ l’organizzazione: persone giuste al posto giusto. Un aneddoto: una bambina, dopo un pranzo che le è piaciuto molto, mi ha portato un cuoricino da portare alle mie nipotine. E’ stato il suo modo per dirmi grazie”.
Marco, 44 ani, capo campo, vigile del fuoco discontinuo, ma anche insegnante e socio dell’unità cinofila. Che significa essere vigile del fuoco? “Già, stranamente e controcorrente, io lo considero un lavoro, nonostante la precarietà. Un lavoro che è una ragione di vita e ai massimi livelli di professionalità. Ti rispondo a una domanda sul perché la gente ama i Vigili del Fuoco e un po’ meno la Protezione civile.

Quando decidi di fare il vigile del Fuoco devi fare un corso, ti misurano, ti "provano" (nuoto, prove ginniche, camere a fumo, esercitazioni di squadra e scala italiana). Devi saper montare la scala italiana. Lì si vede se ci sei e se fai squadra. Questo è l’esame e se non va, grazie e arrivederci. La parola chiave è squadra”.

Altre esperienze? “Sono stato anche a L’Aquila al Campo di Piazza D’Armi e a Villa Santangelo”. Le differenze? “Enormi. Questo terremoto, dal punto di vista economico, è 100 volte più distruttivo con le attività produttive a terra, dall’Emilia Romagna alla Lombardia è tutto in crisi”. Esperienza positiva? “Da rifare, sempre”.
Andrea, il più giovane, 1 metro e 95 e 18 anni compiuti da poco. “Sono sub e faccio parte del CSS di Cesenatico ma nelle altre emergenze non sono potuto a partire per via della scuola, ora sì. Molto lavoro, molta fatica, ma molte più soddisfazioni con la gente che ti ringrazia e ritrova il sorriso anche grazie a noi”.
Roman, un ragazzone molto religioso che per una delusione d’amore è arrivato in Italia dalla Repubblica Ceca a piedi e si è trovato a San Felice il giorno del terremoto. Senza un soldo in tasca ha deciso di rimanere a dare una mano al campo. “Non me ne vado fino a che non è finita l’emergenza, voglio dare una mano” dice timidamente.
E poi Anna la ‘pulminista’ (addetta alla guida del pulmino degli studenti), siciliana doc, il suo sorriso e la voce squillante sono lì a sdrammatizzare la fatica di tutti i giorni; Salvatore, marinaio a La Spezia, anche lui al Campo Globo dell’Aquila; Davide, da Bertinoro, che ti racconta la sua esperienza tra gli alluvionati della Liguria; Mirko, del Centro sub, il magazziniere del campo ma autista manutentore per una ditta che distribuisce gpl a Cesena; Renzo, volontario da un anno, “torno a casa contento perché qui c’è tanto lavoro e ti senti utile”; Denise, 31 anni di Forlì, la veterana con tre turni all’Aquila. Un aneddoto? “Il grazie commosso dei vecchietti perché “siete stati bravissimi” quando in realtà potevamo fare di più”; Federico, da Faenza, aspirante Vigile del fuoco che il prossimo turno non lo passerà in cucina ma come geometra, Anna, da Portico di Romagna con il marito Germano, “mi piace stare nella Protezione Civile, aiutare chi ha bisogno. Prima L’Aquila, a Piazza d’Armi e poi a Camposanto, a Carpi e a Modena”. Differenze con piazza d’Armi? “Lì c’era più organizzazione e sapevo bene cosa fare. Qui c’è più improvvisazione. Mi dispiace di lasciare gli sfollati in queste condizioni, bella gente che ti ringrazia per qualsiasi cosa facciamo”; Foscolo, alla ricerca di tutti i tappi da bottiglia per arrivare a 12 quintali e comprare una carrozzina per disabili; Abele e Matteo, avisini di Casalmaggiore. Un aneddoto? Ho dormito tra i peluches dei bambini nel magazzino l’ultima notte. Mi hanno sfrattato”; Magdalena, 20 anni, polacca, alunna della Scuola Alberghiera.

“Quando me l’hanno chiesto la prima volta ho detto no perché non mi pagavano. Poi, tornando a casa, ho pensato al fatto che sarebbe potuto succedere anche a me di essere vittima di un terremoto e allora ho deciso di partire. Sono l’unica non volontaria ma appena torno a casa m’iscrivo e così riparto”.

La cosa che ti è piaciuta di più? “Il lavoro di gruppo. Abbiamo tutti un sorriso aperto dalle 6 del mattino, anche se siamo stanchissimi e questo aiuta anche gli sfollati ad affrontare meglio questo periodo brutto”.
E’ ora di tornare a casa. Mentre il cemento sotto i piedi scioglie le suole delle scarpe, Alfredo, un anziano del campo è pronto a ringraziarti per quello che hai fatto, la squadra pronta a organizzare nuove partenze con il sorriso che prevale sulla stanchezza. In tutti un velo di commozione misto a senso di serenità. E ti rendi conto di quello che hai fatto, di quello che hai provato, della ricchezza che ti stai portando in valigia. Ti rendi conto che dentro un po’ sei cambiato. Domani la vita di tutti i giorni riprenderà ma con uno spirito e una carica diversa.

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