Mentre Matteo Renzi, primo ministro italiano e segretario nazionale del Pd, cerca di convincere ogni giorno gli italiani che “i padroni hanno il diritto di licenziare liberamente i lavoratori”, il Pd abruzzese, invece, fa l’indiano e sceglie un’altra via, sapendo che sono altre le strade che possono garantire voti sul territorio. E allora decide di imboccare una strada sicuramente più consona a un partito di sinistra, ma che va nella direzione totalmente opposta a quella indicata da Matteo e dalle sue giovani ministre. Anzi, più che imboccare una nuova strada, i massimi esponenti del Pd locale decidono addirittura di bloccare un’autostrada, l’ A25, insieme a circa 150 lavoratori della cartiera Burgo, intenzionata a chiudere i battenti e a lasciarli tutti senza stipendio.
L’altro giorno, a sostenere le ragioni degli operai, c’erano in prima fila come ai bei tempi dell’Internazionale, la senatrice Pezzopane, il vice Presidente della Giunta Lolli, e il marsicano Presidente del Consiglio, della premiata ditta- politicamente parlando- Di Pangrazio Bros. Mancava solo l’onnipresente Luciano D’Alfonso, che ha evitato, per una volta di esporsi, non trattandosi del suo collegio elettorale. Gli esponenti locali del Pd presenti non hanno lesinato abbracci, sorrisi e parole di solidarietà ai lavoratori marsicani. D’altronde, a chi guadagna in media 10 mila euro al mese per apparire davanti alle telecamere e suoi giornali, un abbraccio e un sorriso non costano veramente nulla. E pazienza se Renzi si dice convinto che la fondamentale priorità per il rilancio economico del Paese sia l’abolizione dell’art. 18. Una volta cancellato questo ultimo baluardo dei lavoratori, infatti,, non solo la Burgo nella Marsica, ma qualsiasi grande industria in Italia potrà chiudere gli stabilimenti licenziando tranquillamente i lavoratori. Come avviene normalmente nel resto d’Europa dove, però, gli Stati garantiscono ai cittadini degli ammortizzatori sociali in grado di aiutarli concretamente, senza inutili pantomime e senza la costante ingerenza di politici alla ricerca di voti da mietere tra i disperati. Pantomime come quella che organizzata per oggi a Roma davanti al Ministero del Lavoro, dove ormai i cassaintegrati italiani devono prendere il numerino e mettersi in fila per aspettare il proprio turno a protestare.
La sceneggiata delle vertenze all’italiana è sempre la stessa: sindacati e politici, anche dello stesso partito del Ministro di turno, fuori alla finestra a chiedere che si costringa l’impresa a non chiudere o, cosa più probabile, a chiedere allo Stato di prorogare i sussidi straordinari. Grazie ai quali poi, senatori, deputati, sindaci e presidenti di ogni ordine e grado sperano di far cassa alle prossime elezioni. Ma ormai il cortocircuito alimentato da dichiarazioni, smentite, impegni e ritrattazioni profuse quotidianamente su tutti i media, impedisce a gran parte degli italiani di distinguere le differenze tra la destra e la sinistra italiana. Si continua a discutere di tutto e del suo contrario senza temere che qualcuno si ricordi cosa gli è stato raccontato il giorno prima. Tutto fa brodo. L’importante è assicurarsi i voti continuando a prendere per il “burgo” gli italiani.
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