Che succede se a L’Aquila chiude anche l’Università?

Anche se la rettrice Paola Inverardi ostenta sicurezza e tranquillità, i dati diffusi dall’Unione degli studenti Universitari sono più che preoccupanti. L’Anagrafe Nazionale degli Iscritti del Miur certifica che sugli immatricolati ai corsi triennali e a ciclo unico (l’Anagrafe non riporta il dato sulle magistrali) l’Università dell’Aquila è la peggiore d’Italia, con un -40% di iscritti a fronte di una media nazionale stabile. “Il quadro che emerge dai dati è drammatico- dicono quelli dell’UdU dell’Aquila – l’Università aquilana trascina in fondo il sud, registrando circa la metà della perdita di immatricolati dell’intero sud Italia. In Abruzzo, Teramo e Chieti rispettivamente crescono e scendono di poco, mentre gli Atenei limitrofi di Lazio, Umbria e Marche crescono in immatricolazioni”.
Per l’Ateneo aquilano, peggio ancora degli aridi numeri sono le voci che si rincorrono tra gli studenti o aspiranti tali, raccolte recentemente anche dal quotidiano “Il Centro”: “L’Aquila universitaria non esiste più”, “la mobilità per gli studenti è un incubo”, “la città offre poco o niente”, “si è tornati a pagare le tasse come se si fosse in una città normale, mentre qui si vive ancora in mezzo le macerie”. Insomma, non proprio la migliore pubblicità per quella che un tempo era considerata la più importante e viva della città universitarie abruzzesi.
Se a tutto ciò si aggiungono le bizzarre idee del Sindaco Cialente come “il campus universitario diffuso”- in pratica, un ossimoro urbanistico- o progetti di centri universitari realizzati a macchia di leopardo sull’immenso territorio del cratere senza offrire servizi di trasporto adeguato, diventa facile temere un futuro difficile per quella che era l’unica, vera grande industria rimasta a L’Aquila capace di generare utili grazie al vitto e all’alloggio pagato dagli studenti.
Un futuro difficile per l’Università ma anche per il destino di migliaia di abitazioni, molte delle quali erano nel centro storico, che difficilmente, se e quando verranno ricostruite, potranno trovare nuovi inquilini. Solo quest’anno, ad esempio, sarebbero circa 1.500 gli studenti che mancano all’appello rispetto l’anno precedente, la maggior parte dei quali erano studenti “fuori sede” ossia bisognosi di vitto e alloggio. Se nell’anno accademico 2012-13, il primo da rettrice, la Inverardi aveva ereditato un Ateneo di quasi 25 mila iscritti (24.391 per l’esattezza), oggi ne vengono certificati dal Miur “solo” 21.035. Una caduta verticale che riporta l’Ateneo aquilano agli iscritti di quasi 10 anni fa, quando il trend però era in costante crescita, con circa un migliaio di studenti in più ogni anno. Solo negli ultimi 3 anni, invece, sono andati via più di 3.200 studenti.
La Inverardi prova a giustificare sulla stampa il calo come fisiologico, dovuto principalmente alla reintroduzione delle tasse da pagare e a “una scelta mirata” per scremare la qualità della popolazione studentesca, scoraggiando gli studenti fuori corso e inserendo il numero chiuso nelle facoltà. Sarebbe proprio questa politica dei “numeri programmati” della rettrice aquilana ad essere in questi giorni tanto contestata dagli studenti, ancora una volta gli unici a pagare il prezzo di una presunta “università di qualità”. Ecco perché il presidente del Consiglio nazionale degli Universitari, Andrea Fiorini, accusa la Inverardi di perseguire per sua scelta questa politica “di requisiti stringenti”, altrove abbandonata proprio per scongiurare una riduzione troppo drastica degli iscritti e un’eventuale chiusura degli atenei. A proposito di “eccellenza” e “qualità” , tra le 148 istituzioni di alta formazione che hanno ottenuto più di dieci «A» da parte dell’indice U-Multirank dell’UE, le eccellenze italiane certificate risultano solo i politecnici di Milano e Torino e le università di Pavia, Trento e Trieste. I criteri utilizzati per valutare la qualità di un’università riguardano anche gli studenti, ma non solo. La maggior parte delle valutazioni coinvolgono l’insegnamento, la ricerca, il transfer della conoscenza, l’orientamento internazionale, il numero delle pubblicazioni e soprattutto- nel senso di principalmente- il numero di brevetti registrati (dati: IlSole24ore).
Effettivamente, davanti al progetto di “Università delle eccellenze” perseguito con determinazione dalla rettrice Inverardi, in mancanza di altri dati significativi se non la riduzione del numero degli iscritti, sorge spontanea più di una domanda. Concesso che sia giusto e utile scremare gli studenti perditempo, cosa è stato fatto invece in termini di servizi e della qualità del personale docente? Dove sono i laboratori? Quali e quanti sono i brevetti in campo ingegneristico- ad esempio- nati a seguito delle ricerche e degli studi effettuati sulla ricostruzione? Dove sono i professori “eccellenti” che garantirebbero la creazione di un polo di attrazione? Dopo il sisma, su quale progetto di ricostruzione dell’Università si è lavorato per offrire i servizi minimi rivolti agli studenti che pur pagano le tasse e garantiscono il mantenimento in vita dei vari “insegnamenti”? Dopo sei anni, dov’è un campus degno di questo nome? Dove sono le infrastrutture moderne che potrebbero, queste sì, attirare l’attenzione di studenti e genitori impegnati a decidere dove investire al meglio e senza perder tempo tre anni del proprio futuro e dei propri quattrini? Quale politica è stata intrapresa per riorganizzare in maniera efficiente e moderna i servizi di segreteria? Quale sarebbe, in pratica, il valore aggiunto sul quale reggerebbe il buon nome dell’Ateneo aquilano per convincere gli studenti a non abbandonarlo?
In risposta a tutte queste domande sembra che anche l’Università si stata colpita dal fatalismo, dalla visione ottusa e anti moderna e dalla mancanza di progettualità complessiva che hanno contraddistinto fino ad oggi l’intera opera di ricostruzione della città dell’Aquila, dove la classe dirigente è stata incapace di cogliere le opportunità nate dalle terribili difficoltà che l’hanno colpita sei anni fa. La stessa classe politica nazionale- vedi la visita del Presidente Renzi, rimasta disattesa- cerca di smarcarsi da tali incapacità. La lettura di questi numeri “drammatici”- come sono stati definiti dagli studenti- non fa che nutrire l’impressione di una vera fuga dall’Ateneo e dall’Aquila verso università limitrofe che, se non brillano, quanto meno possono offrire ai ragazzi una certa “normalità”, dove vivere in modo più sereno i loro anni di studi.
Laquilablog.it, 4 giugno 2015
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