Cialente come Chiodi. Clonatori e cloni

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Il comportamento, meglio ancora l’esempio, del presidente della regione non è passato inosservato. Il tentativo di un assessore di aver messo in evidenza le trame del presidente della giunta regionale è stato represso con l’immediata revoca delle deleghe assessorili. Revoca che, poi, non ha avuto alcun effetto positivo, grazie al chiarimento culminato con abbracci, promesse, perdoni e l’immancabile reintegro.

L’avvenimento ha suscitato scalpore nella pubblica opinione, soprattutto aquilana, anche se gli interessati hanno fatto in modo di glissare i giudizi della collettività regionale.

Molti, però, hanno meditato sull’evoluzione dell’apparente discordia ed hanno pensato anche a possibili azioni di emulazione. Il sindaco dell’Aquila, però, ha battuto tutti sul tempo. Ha analizzato appena sommariamente alcune esternazioni dell’assessore all’urbanistica. Le ha metabolizzate e, in men che non si dica, ha revocato all’assessore Riga le deleghe attribuite, senza però esautorarlo del tutto, con la stessa procedura che Chiodi ha seguito per Giuliante, consentendo, cioè, di partecipare alle sedute di giunta. Non si è mai saputo, e mai si saprà, se come semplice uditore, senza diritto di voto e di parola, oppure esercitando le funzioni legali proprie dell’assessore.

Quindi si sono instaurate nella nostra regione altre due figure nella compagine politico amministrativa delle autonomie locali: un elemento conduttore, il cosiddetto clonatore, individuabile nella figura del presidente della regione, e nel primo allievo seguace, il clone, cioè il sindaco dell’Aquila, che, con ogni probabilità, ha voluto essere il primo della classe anche per affermare, almeno questa volta, di essere il primo cittadino del capoluogo di regione. La nuova disciplina, ad onore del vero, non è stata istituita dal presidente della regione, proprio perché Chiodi l’ha scopiazzata, forse in malo modo, dal suo leader che, per la verità, ha seguito una strategia molto più ferma, coerente ed orientata a salvare, almeno in apparenza, faccia e dignità. È tutta questione di stile.

“Cialente ha messo in Riga l’Api”, così è suonata la notizia dell’annuncio dei provvedimenti adottati a carico dell’assessore all’urbanistica, che si è reso reo di aver accusato il sindaco di ostacolare la rinascita del capoluogo d’Abruzzo. Avrei qualche dubbio in proposito, ma sono certa che i nodi si scioglieranno presto, prima ancora della scadenza della cambiale, fissata per la fine del mese di giugno.

Anche questa operazione rientra in quella strategia sommersa di preparazione alle prossime elezioni. I cavalli di razza cercano di consolidare le posizioni. I puledri scalpitano e cercano di ritagliarsi, senza troppe speranze, spazi vitali per potersi inserire nella rosa dei candidati. I cloni usano la mano pesante per conservare l’egemonia del comando, con la recondita intenzione di farla pesare in occasione delle formazione delle liste o, per lo meno, di poterla barattare per ottenere incarichi di prestigio, soprattutto dal punto di vista economico.

A Cialente, comunque, trema la terra sotto ai piedi con una magnitudo superiore a quella del sisma dell’aprile 2009. Malgrado tutto, però, cerca di resistere per cercare di far valere almeno la sua posizione di primo cittadino depositario di tante verità.

L’esplosione di Riga e dell’Api non sono una novità. È la semplice conferma di tutto ciò che sta avvenendo all’interno della maggioranza, implosa definitivamente con l’entrata in giunta di Rifondazione comunista. La reazione, prima, e la denuncia di intriganti movimenti, con conseguenti bacchettate commissariali poi, del segretario locale del Pd in merito alle grandi manovre per le prossime candidature, costituiscono un evidente esempio delle grandi manovre in corso all’interno della maggioranza. Anche in questo caso le sacrosante aspirazioni dei giovani, per effettuare il tanto auspicato ricambio, vengono considerate una pura e semplice ribellione al sistema e, pertanto, sono oggetto di solenni e pubbliche repressioni. Guardate cosa ha dovuto fare Iritale per restare ‘almeno’ tra gli iscritti al partito. Ha dovuto recitare il mea culpa dinanzi al commissario provinciale del Pd, giurando di obbedire e, soprattutto, di non protestare mai più.

Il sindaco non potrà consentire all’assessore all’urbanistica di presentarsi all’appuntamento di Teano, anzi no di Teramo, perché questo è il terreno dove si lavano i panni sporchi, con il capo cosparso di cenere e la corda al collo, per chiedere l’indulgenza ed il perdono. Tolga pure la cenere dal capo, se vuole, ma lasci ben serrata la corda al collo, perché proprio l’ufficio dell’assessore, se vogliamo, è quello che in materia di ricostruzione non ha prodotto nulla. Avete avuto notizia dell’approvazione di uno strumento urbanistico adatto alle esigenze della ricostruzione? Avete avuto sentore di possibili pianificazioni ufficiali, generali e settoriali, approvate dal consiglio comunale e sottoposte all’esame della struttura commissariale regionale?

Se la città avesse potuto disporre di questi documenti, forse, non si sarebbero create quelle fazioni professionali e imprenditoriali, con commistioni politiche, che vorrebbero dividersi il territorio comunale per la ricostruzione alla stessa stregua della divisione delle vesti di Cristo. Forse, non sarebbero neppure nati alcuni pseudo colonizzatori dell’edilizia e, più in generale, dell’agonizzante economia locale.

Gli aquilani aprano gli occhi, prima che sia troppo tardi.

di Maria Cattini

[tratto da Gli Editoriali del Direttore – IlCapoluogo.it]

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