Una delle definizioni più importanti di ciò che siamo è una storia. Siamo quello che ci raccontiamo di noi stessi, quello che gli altri potrebbero dire di noi, il tipo di storie o narrazioni che emuliamo e con cui ci identifichiamo. Le storie sono ovunque, le guardiamo costantemente in film e serie televisive, le leggiamo in libri, autobiografia e biografie, narrativa e saggistica, parliamo della nostra giornata, della nostra settimana, del nostro anno, degli eventi della nostra vita attraverso il linguaggio e la forma di storie.
Le storie sono la caratteristica fondamentale delle notizie. Il telegiornale seleziona storie da tutto il mondo e le racconta. Consumiamo le notizie per la maggior parte attraverso il prisma della politica, molte persone scelgono il loro canale di notizie perché si allinea grosso modo con la loro visione politica del mondo. Per la maggior parte di noi le notizie sugli eventi del mondo e sui luoghi che consumiamo, queste notizie sono uno dei pochi prismi condivisi attraverso i quali il nostro mondo ci viene interpretato.
La cosa spaventosa è che in una società post-religiosa, laica, in gran parte apatica e agnostica, le storie che stanno definendo le nostre vite sono sempre più motivate non da veri e propri imperativi morali ma dai dettami dell'”economia dell’attenzione”, da una crescente concorrenza ardente per clic e visualizzazioni, per sensazionalismo e spettacolo che catturano l’attenzione. Viviamo in un’epoca in cui abbiamo un surplus di attenzione e un deficit di capacità di attenzione, e le notizie devono competere per questo. Questo significa avvalorare le regole del sensazionalismo.
Notizie progettate per suscitare ansia, paura, rabbia, cose che stimolano dipendenza e coinvolgimento. E queste cose alimentano la polarizzazione politica, la rabbia e la divisione che a loro volta forniscono più foraggio per le notizie. E il circuito diventa un cane che si morde la coda.
Se via d’uscita c’è deve essere individuale, mentre gli Zuckerberg di questo mondo potrebbero desiderare di trascinarci nel metaverso, molti stanno imparando una sorta di digital detox e quanto si guadagna trascorrendo meno tempo collegati ai nostri mondi online. Il proposito è di staccare pian piano la spina per mantenere un sano equilibrio tra vita reale mondo digitale.
Io ci sto provando e voi?