Il lavoro in vacanza? Ecco la sindrome always-on

Il lavoro in vacanza

Il lavoro in vacanza? È stata definita la generazione “always on”, quella dei millenials, sempre connessa. Una connessione quotidiana che, tra notifiche social, mail da controllare ed app da aggiornare, vede gli italiani costantemente alle prese con pc e cellulare. In realtà ne siamo interessati quasi tutti, soprattutto i lavoratori che, attraverso gli strumenti tecnologici, sono sempre reperibili. Una connessione quotidiana tra mail da controllare, arretrati e urgenze che non possono mai essere stoppate neanche durante le ferie, il tutto a scapito del benessere psicofisico e lavorativo.

Il motivo? I dispositivi che ci consentono di portare avanti queste attività non si spengono mai.

Lo studio del Washington Center for Equitable Growth

“Per tre su quattro di noi lo smartphone è lo strumento fondamentale per programmare e organizzare il viaggio, sette su dieci controllano posta e/o messaggi anche in vacanza fino a 80 volte al giorno” riporta il Corriere della Sera. “Il 66 per cento dei lavoratori dipendenti dichiara che «vorrebbe essere irraggiungibile» dal capo o dai colleghi mentre è in vacanza ma oltre metà (il 55 per cento) di sente «in dovere di rispondere a email o messaggi di lavoro anche mentre è in spiaggia e anche quando è cosciente che il datore di lavoro non lo richiederebbe affatto”, si legge.

Sessanta su cento – si legge sul Corriere della Sera – hanno detto che il loro capo «si aspetta» che essi rimangano raggiungibili e comunque operativi in caso di necessità anche in vacanza”.

Il dato più preoccupante, tuttavia, è dato dal 55 su cento che, come si è detto all’inizio, “alle email e ai Whatsapp di lavoro si sentono comunque tenuti a rispondere anche quando il loro capo non lo richiederebbe. Lì c’è poco da fare, il problema non è il cellulare: per battere la sindrome dell’always-on non basta schiacciare off sul telefonino, bisogna trovare l’interruttore dentro la testa”.

Il lavoro in vacanza e lo smart working

Se Internet, unito alle nuove tecnologie e allo scenario post pandemia, ha cambiato il modo di lavorare di milioni di persone, dando loro il famoso smart working, le conseguenze non sono tutte positive. Addio orario di lavoro definito, cartellino e postazione con scrivania e pc, il lavoro del futuro si svolge tra le mura di casa e spesso i limiti spazio e orario d’ufficio si perdono.

Questo fenomeno, l’always-on (sempre attivo), in cui appunto le persone non possono prendersi una pausa completa dai telefoni, potrebbe alla fine portare al risentimento addirittura all’esaurimento, con conseguenze lavorative opposte a quelle della produttività. Non per niente dal 2007 il Tecnostress – “un disagio moderno causato dall’incapacità di coabitare con le nuove tecnologie del computer” –  che si è diffuso soprattutto negli ultimi decenni, progressivamente con l’evoluzione digitale del mondo del lavoro, è stato riconosciuto come malattia professionale.

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