Brigitte Macron: la violenza di doversi giustificare

Brigitte Macron

C’è un momento, nella vita pubblica di una donna, in cui la realtà smette di bastare.
Per Brigitte Macron è accaduto quando, oltre alla curiosità morbosa sulla sua età, qualcuno ha deciso che non era abbastanza femmina da esserlo davvero. È nata così la teoria, sgangherata e velenosa, secondo cui la Première dame di Francia sarebbe in realtà Jean-Michel Trogneux, suo fratello.
Una fake news ripescata da blog complottisti, amplificata da canali social in cerca di scandali, e infine costretta a diventare difesa personale, tribunale e ferita.

Non si tratta solo di un insulto. È una radiografia di come oggi si distrugge una figura pubblica: negandole il corpo, il nome, la biografia.
Si dice “è un uomo travestito da donna” e il gioco è fatto: l’identità non è più un fatto, ma un’accusa.

Brigitte Macron ha dovuto rispondere. Dire “sono nata donna”. Dire “sono io”.
Sembra assurdo, eppure è la forma più moderna della gogna: quella che trasforma la dignità in smentita.

Ci si stupisce sempre quando una donna ha influenza. Quando parla, quando decide, quando resta accanto a un uomo potente senza farsi inghiottire dal ruolo di moglie.
Brigitte Macron, con la sua eleganza misurata e la naturalezza da ex insegnante, ha rotto molti schemi del potere francese.
E per questo — più che per l’età, più che per il matrimonio con uno studente diventato presidente — è diventata bersaglio.
Non dell’ironia, ma del sospetto.

Perché nel cuore della Francia moderna sopravvive l’idea che il potere al femminile debba essere giustificato, non esercitato.
E se non si può dire apertamente “non ci piace che una donna conti”, la si colpisce dove è più fragile: nel corpo, nel sesso, nella nascita.

Il problema non è la voce in sé, ma il modo in cui la rete la trasforma in verità parallela.
Un video su TikTok, un thread su X, un articolo pieno di maiuscole: bastano a mettere in dubbio ciò che fino al giorno prima era un fatto.
La menzogna diventa “dibattito”, il sospetto “diritto di parola”.
E chi ne è vittima — anche se è la moglie del Presidente della Repubblica — deve dimostrare di esistere.
È il paradosso del nostro tempo: chi diffonde la calunnia si nasconde, chi la subisce deve mostrarsi.

Brigitte Macron non ha ceduto all’indignazione. Ha scelto la via legale, come chi non vuole convincere il mondo ma difendere la verità da sé stessa.
Eppure, il solo fatto di doverlo fare segna una sconfitta collettiva: non sua, nostra.

Oggi le bufale non si diffondono per odio, ma per divertimento.
Si condivide una teoria assurda come si condividerebbe un meme.
Si ride, si commenta, si partecipa.
E così, lentamente, la violenza si traveste da gioco.
Non servono più i roghi o le piazze: basta un algoritmo che premia ciò che scandalizza.

Dietro ogni clic, però, c’è una donna vera che legge, ascolta, sanguina in silenzio.
Brigitte Macron, in questa storia, non è solo la moglie di un presidente: è il simbolo di ogni donna che, per il solo fatto di esistere pubblicamente, deve difendersi dalla caricatura di sé stessa.

C’è un dettaglio che colpisce: questa diceria circola da anni, ma diventa virale ogni volta che Macron è in difficoltà politica.
Quando il potere vacilla, qualcuno rispolvera il corpo di lei.
È una costante antica: colpire la donna per indebolire l’uomo.
Nel Medioevo la si chiamava stregoneria. Oggi si chiama complotto.

Ma qualcosa cambia, nel tono.
Brigitte Macron non si nasconde, non recita la parte della vittima.
Risponde con compostezza, come chi sa che l’unica arma contro la menzogna è la misura.
Eppure la domanda resta: quanto siamo diventati disposti a credere a tutto, pur di non guardare in faccia la realtà?

Brigitte Macron non è solo la vittima di una fake news.
È lo specchio di un mondo che giudica l’identità altrui come se fosse proprietà pubblica.
E se deve ancora dire “sono una donna”, non è perché qualcuno dubita di lei, ma perché molti dubitano della propria umanità.

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