Colapietra for dummies: la parole dello storico aquilano spiegate a chi non riesce o non vuole capire

6 aprile 2009 terremoto laquila

«Non è pulendo qualche strada che si ricostruisce. Sono stati poco più che un movimento folcloristico. Poco più di Sant’Agnese». E’ bastata questa frase, probabilmente riferibile all’iniziativa finita agli onori delle cronache come “rivolta delle carriole”, a provocare una levata di scudi contro le parole dello storico aquilano Raffaele Colapietra. I primi ad insorgere sono stati i rappresentanti dell’”Assemblea cittadina” che hanno bollato le affermazioni del professore- per altro autore di volumi su Masaniello e il Regno di Napoli- come “ingenerose e vergognose”. Anzi di più: “infamanti”.

Non è un caso che l’assemblearismo, quello promosso dal popolo esasperato, da studenti festanti o da aspiranti masanielli, sia da sempre riconosciuto come il metodo più efficace per appiattire le intelligenze. Le assemblee popolari sono sempre state il posto ideale dove più facilmente si realizza la “fabbrica del consenso” attraverso l’utilizzo dell’aspetto emozionale, molto più che della riflessione e dove si stimola il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Infatti, là dove a chiunque è riconosciuto il diritto di parola, a prescindere dalla propria formazione, competenza e professionalità, invece che premiare le eccellenze e le intelligenze migliori, accade spesso il contrario. Ossia, per dirla all’aquilana, che anche “ju più stupido te’ ragio’”.

Ma nel caso di Raffaele Colapietra non si ascoltano solo le parole di quel provocatore capace di riassumere gli oltre settecento anni di storia della nostra città con la geniale perifrasi “la storia dell’Aquila puzza di pecora”. Considerata l’età e le numerose esperienze accademiche, Colapietra può essere considerato un vero intellettuale. Il professore universitario che ha fatto dello studio della storia del meridione italiano la sua principale missione di vita, è arrivato a produrre, dal 1960 ad oggi, una trentina di pubblicazioni di carattere scientifico.

Per questo è importante saper ascoltare e non perdere i contenuti più sostanziali di quella intervista senza disperderli in polemiche di poco conto. Ed è per questo che vale la pena tornare a sottolinearli ancora una volta, soprattutto a favore di chi non sia riuscito o non abbia voluto comprenderli.

Quando, ad esempio, il professor Colapietra rivendica la scelta di essere rimasto a presidiare la sua casa, ovviamente non avanza un rimprovero nei confronti di semplici madri e padri di famiglia che si sono visti la casa distrutta, piuttosto che la chiusura dell’attività in cui lavoravano. Il compito stoico di presidiare la città spettava ai rappresentanti delle istituzioni e a chiunque ricoprisse un ruolo utile a significativo per preservare l’identità di una città e del suo centro storico. In questo senso, per Colapietra, L’Aquila è stata abbandonata dagli “aquilani” che potevano e dovevano proteggerla.

Invece, proprio due dei più importanti politici aquilani che oggi rivendicano il ruolo di paladini della ricostruzione, Cialente e Pezzopane, nei mesi immediatamente successivi al sisma, si sono consegnati “mani e piedi” davanti tutte le decisioni prese da “Guido” (Bertolaso) e Silvio Berlusconi. Troppe sono le foto e le interviste per poter cercare di smentire questa realtà.

Quindi, secondo lo storico Colapietra, se la scellerata proposta di costruire 19 new town è sicuramente imputabile ai non “aquilani” Berlusconi e Bertolaso, a L’Aquila è mancata la volontà e la forza politica, almeno nei sei mesi successivi al sisma, di ostacolare se non correggere quel piano. Solo dopo che oltre 15 mila persone hanno trovato riparo nelle Case e Map, sono iniziate le critiche ufficiali della politica locale a quelle scelte del Governo.

Troppo tardi, troppo comodo.

Perché, ad esempio, nessun politico locale- Cialente e Pezzopane in primis, senza dimenticare De Matteis e Chiodi- ha provato a proporre di ridurre della metà il numero dei nuovi quartieri per concentrare quegli incedibili sforzi operativi -“h24”- nel recupero immediato degli edifici che avevano subito meno danni?

In questo modo la ricostruzione sarebbe stata almeno due anni avanti rispetto all’attuale situazione. Eppure l’immediata periferia della città era piena di palazzi B e C che avrebbero richiesto certamente meno lavoro e denaro che non la costruzione ex novo di ben 19 nuovi quartieri dormitorio. Il risparmio di risorse sarebbe stato significativo e non saremmo oggi, a cinque anni dal terremoto con meno fondi a disposizione, a discutere ancora se è più opportuno concentrare gli sforzi sulle periferie piuttosto che sul centro storico.

Ma c’è un ultimo, forse il più importante, passaggio dell’intervista rilasciata a Fabio Iuliano che non deve assolutamente passare inosservato. Colapietra è uno studioso troppo accorto per non sapere che tra venti, forse trenta anni, gli storici che si occuperanno di capire cosa non ha funzionato nella ricostruzione aquilana andranno a cercare le sue dichiarazioni come fonti dalle quali far partire le loro ricerche. Quindi, il messaggio più importante il professor Colapietra lo rivolge proprio a loro e a chiunque sia in grado di capirlo.

«Il sindaco Massimo Cialente ha messo la città in mano alla protezione civile- accusa Colapietra nell’intervista pubblicata da “Il Centro”- E non solo poi è rimasto al suo posto, ma ha permesso che qualcuno dei suoi collaborasse con la Protezione Civile. Del resto, ho visto con i miei occhi gli architetti Vincenzo De Masi e Marino Bruno lavorare a stretto contatto negli uffici della caserma di Coppito. Sono loro che hanno pensato ai 19 quartieri».

Questa è la vera, clamorosa accusa sulla quale vale la pena interrogarsi. E su questo aspetto che prima o poi qualcuno- non certo la Magistratura- indagherà e ricostruirà esattamente le dinamiche e gli interessi che ci hanno portato alla situazione attuale. Perché, che vi piaccia o meno, le scelte e le valutazioni degli architetti aquilani Vincenzo De Masi e Marino Bruno hanno fatalmente influenzato il corso della recente storia della nostra città molto più di quella giusta, quanto isolata, manifestazione popolare che fu la “rivolta delle carriole”.

Lettera firmata

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