Elezioni Abruzzo, la sfida a tre per governare la Regione: Uno, Nessuno e Trentunomila

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di Maria Cattini – Salvo sorprese dell’ultimo minuto, oggi sono tre i candidati presidenti della regione Abruzzo che si sfideranno alle urne il prossimo 25 maggio: il presidente uscente, il teramano Gianni Chiodi per il centro destra, l’avvocatessa teatina Sara Marcozzi per il M5S, e il controverso, ex sindaco di Pescara, Luciano D’Alfonso per il Pd. Nessun candidato proviene dalla provincia dell’Aquila, ma non c’è da stupirsi. Il capoluogo di Regione, soffocato dalla mediocrità della sua classe dirigente, formata da dipendenti pubblici o “liberi professionisti” della politica, oggi può vantare solo piccoli capi-bastione in eterna lotta tra loro, esperti più nell’ “aiutare per la calata” e a gestire il piccolo interesse personale che a contribuire costruttivamente a progetti politici seri e credibili.

In gara rimangono quindi solo questi tre nomi a contendersi la guida della Regione Abruzzo.
Tutti e tre promettono di “vincere” le elezioni come se si stessero contendendo il biglietto di un “Gratta e Vinci” miliardario.  In realtà, andando a grattare, chiunque “vinca” le elezioni si troverà davanti l’amara sorpresa di tre miliardi (quasi 6 mila miliardi delle vecchie lire) di debito pubblico da gestire che ancora grava sulla testa dei cittadini abruzzesi. Non bastasse questo dato piuttosto allarmante, tutti cittadini, compresi i tre baldanzosi “aspiranti” alla carica di Governatore, dovrebbero sapere bene che, dal prossimo anno, a rendere la gestione della Regione ancora più impervia, entrerà in vigore il fiscal compact, che obbligherà le amministrazioni al pareggio di bilancio scongiurando ogni tentazione di ricorrere agli artifici contabili. Gli stessi artifici che per anni gli hanno permesso di nascondere quella mostruosa montagna di debito sotto al tappeto dei bilanci dello Stato.  Inoltre, malgrado gli sforzi del Governo centrale e le promesse propagandistiche, attualmente non c’è alcuna garanzia che l’Europa ceda al vincolo del 3% rapporto del deficit/PIL. Ciò non bastasse, l’ombra di un crack finanziario di alcune nostre banche potrebbe impegnare atre ingenti risorse di fondi pubblici per impedire il loro fallimento, piuttosto che finanziare il rilancio dell’economia.
Un quadro economico drammatico che spaventerebbe chiunque. Eppure, ancora una volta, abbiamo tre agguerritissimi candidati che, invece di impegnarsi a scrivere un programma serio e credibile per evitare di maledire il giorno in cui sono stati eletti, al momento spiccano più per le loro mancanze che per capacità.
La solita gara al ribasso, al “meno peggio”, alla quale la politica italiana ci ha abituato da anni.

Ma vediamo chi sono e perché non ci entusiasmano più di tanto questi tre coraggiosi candidati.

UNO: GIANNI CHIODI

Il presidente uscente Gianni Chiodi si presenta piuttosto isolato nell’affrontare la campagna elettorale per la sua riconferma. Nel corso della sua amministrazione, Chiodi ha dimostrato di essere un discreto commercialista più che un buon politico. Come se non fossero bastati i disastrosi conti della sanità che avevano portato la Regione al commissariamento, costretto dalle politiche di Mario Monti, Chiodi ha dovuto tagliare ulteriormente di un miliardo di euro l’enorme debito pubblico che affligge i conti della regione Abruzzo. Con un quadro del genere, c’era ben poco da fare e Chiodi indubbiamente l’ha fatto, cercando di tagliare là dove gli è stato possibile, inimicandosi così molti clientes che si sono visti sottrarre la poltrona. 
Sarebbe stato un buon risultato che lo avrebbe visto avvantaggiato se, all’ultimo minuto, non fosse scoppiato lo scandalo rimborsopoli con relativi risvolti sexy.  Un vero e proprio calcio dritto nei genitali del Governatore. Un clamore mediatico che ha pesantemente offuscato la sua immagine pubblica e rischia oggi seriamente di fargli perdere le elezioni. Anche se l’interessato fantozzianamente cerca di far finta di niente, sapere che il Governatore dell’Abruzzo, anche solo per una notte, ha speso del denaro pubblico per soddisfare i sui istinti da maschio- “un errore”, ha minimizzato Chiodi- non è certo piaciuto agli elettori abruzzesi, già gravemente prostrati come il resto degli italiani dalla grave crisi finanziaria. Ciò non bastasse, sempre lo scandalo rimborsopoli ha agitato le anime di alcuni politici di centro destra, che non vedono utile ai propri interessi la riconferma di Chiodi. A menare ai fianchi e alle spalle del governatore uscente, oltre a quelli del Nuovo Centro Destra che temono di avere un potere politico marginale anche in Abruzzo, da tempo ci sono anche tutti i camerati ex An che ancora militano nelle file di Forza Italia: un politico di lunga esperienza nel fare tabula rasa dei partiti come Gianfranco Giuliante a L’Aquila, Lorenzo Sospiri a Pescara e il senatore Fabrizo Di Stefano a Chieti. Oggi sono loro, appoggiati da alcune testate giornalistiche tradizionalmente vicine al centro destra, i nemici più subdoli con i quali Chiodi deve fare i conti se non vuole rimanere solo anche nelle urne.

NESSUNO: SARA MARCOZZI

Tra furenti polemiche e ritiri all’ultimo istante di alcuni candidati, 346 grillini abruzzesi hanno scelto come candidata alla Presidenza della Regione l’avvocatessa di belle speranze Sara Marcozzi. Dopo aver ricevuto nei mesi scorsi un cortese no dell’ex magistrato Nicola Trifuoggi e dal presidente regionale del Wwf Augusto De Santis, lo scorso lunedì è stato lo stesso onorevole Gianluca Vacca, attentissimo alle dinamiche regionali del suo partito, ad annunciare per primo la lieta notizia. “Habemus candidata”, ha scritto sulla sua pagina di FaceBook, non brillando certo per originalità e tradendo la soddisfazione di esser riuscito, tra mille polemiche ma senza troppe difficoltà, a far eleggere quanto meno una sua fedelissima. In realtà, a giudicare dai video di presentazione postati sulla pagina web del M5S Abrruzo, gli altri candidati, tutti certificati dallo staff di Vacca, non sembravano certo dei competitors temibili. Il caso più eclatante è quello della candidata pennese Stefania Altigondo, inserita misteriosamente e a sua insaputa al posto di  Fabrizio Catullo.
“Ci deve essere stato un errore sulla pagina del M5S dove si vota per la scelta del candidato presidente…”- ha scritto la stessa Altigiondo– “è stato inserito anche il mio nome tra i candidati presidenti alla regione, ma è un errore, io non sono candidata presidente, ma semplicemente consigliere. Non votate il mio nome per favore. Il mio nome lo dovrete scrivere invece alle urne il 25 maggio.” Malgrado l’invito esplicito a non votarla, alla fine ha raccolto 25 preferenze.
Anche il video della candidata vincente Marcozzi, la più bella e convincente dei sei, non entusiasma più di tanto. A differenza degli altri candidati, sulla pagina del suo video postato su YouTube curiosamente sono stati disabilitati i commenti. Forse per paura che qualche grillino deluso usasse parole non proprio gentili nei confronti di una candidata considerata troppo vicina a Vacca per non innescare violente polemiche anche lì. Gli slogan della bella Marcozzi? “Una regione a rifiuti zero, perché la natura è a rifiuti zero”, ci è sembrato quello più originale. Per il resto la solita fuffa riciclata da tutta la vecchia classe politica italiana. “Credo fermamente- dice sempre Sara nel suo video- che le più grandi risorse dell’Abruzzo siano il turismo, la cultura e l’enogastronomia”. Un messaggio, se non originale, sicuramente non rivoluzionario.
E la riduzione delle indennità da consiglieri a 2.000 euro al mese imposta da Grillo anche ai colleghi dell’Emilia Romagna pena l’espulsione dal Movimento?
Neanche una parola. Anzi, l’argomento viene accuratamente evitato dalla giovane e scaltra avvocatessa.
 Ma che scherziamo? Co’ ‘sta crisi, è meglio non parlarne…pure i Cinque stelle tengono famiglia. Che vi credete?

TRENTUNOMILA: LUCIANO D’ALFONSO

Luciano D’Alfonso, il candidato dato per favorito nei primi sondaggi, è sicuramente l’unico dei tre con la stoffa da vero leader. Sembra proprio nato con la camicia del politico. Peccato che i suoi sarti scelgano ancora i desueti modelli della vecchia Democrazia Cristiana piuttosto che quelli rampanti del renzianismo di moda oggi nel Pd. Ma gli abruzzesi, orfani inconsolabili di Zio Remo, non hanno certo mai brillato per modernità e sembrano apprezzare molto questo ritorno al passato. Infatti, con la sua impeccabile oratoria e perfetta prossemica da comizio elettorale postbellico, D’Alfonso è abilissimo nel dire nulla ma dirlo bene. Non esita a ricorrere a neologismi o concetti astratti come “regionalismo” e “minimalismo” per ipnotizzare il suo pubblico che non capisce, ma applaude lo stesso.  “La Regione ovunque”, “aperti a chiunque”, promette Lucianone. E la famiglia Stati di Avezzano (da sempre Forza Italia) raccoglie subito l’appello, annunciando che Daniela è pronta a correre con lui “per far voltare finalmente pagina all’Abruzzo”. Applausi.
Guai a parlare dei suoi processi e delle sue prescrizioni. “Giornalismo pornografico”, tuona D’Alfonso mentre ringrazia la zia che gli ha permesso una invidiabile vita agiata. Anche gli imprenditori che lo hanno sostenuto sembrano volergli un mondo di bene. Come il concessionario delle Autostrade abruzzesi Toto che, in passato, è arrivato passargli gratuitamente autista, macchina e benzina. “Solo per fraterna amicizia”,assicurano i due. Ma si sa, per un sant’uomo come D’Alfonso, chi non lo farebbe? Applausi.
Ed infatti, ben 31 mila elettori del Pd, incuranti della richiesta del processo di appello che grava sulle sorti di big Luciano, lo hanno votato alle scorse primarie, garantendogli  il 76% dei voti.
Peccato che il Pd abruzzese, a distanza di una settimana, non sia ancora in grado di certificare quel risultato. Il sito News-Town ha provato a fare dei riscontri che alimentano ulteriori sospetti. “Anche perché,-  scrive Nello Avellani per NT- a far di conto con le poche informazioni pervenute, i numeri annunciati lasciano qualche dubbio. Dato definitivo: 42.293 votanti. A mezzogiorno, ad urne aperte da 4 ore, ai seggi si erano presentati in 15mila. Alle 17, invece, il dato raccontava di 25mila votanti. Dunque in tre ore, dalle 17 alle 20, avrebbero espresso la preferenza in 17mila.” In pratica, solo nelle ultime tre ore di votazione, sarebbero accorsi ai gazebo del Pd più di 5.600 abruzzesi ogni ora. Ma il potere taumaturgico di Luciano D’Alfonso può questo ed altro. Come ad esempio superare indenne i vincoli deontologici per le candidature del Pd previsti della Carta di Pisa.
Possono ben governare politici che riescono a eludere le stesse regole che si sono imposti? Molti cittadini abruzzesi, abituati da anni a considerare la furbizia come una dote necessaria per ogni buon politico che si rispetti, sono pronti a scommettere di sì.

Ma, con i bilanci pubblici ancora così disastrati, la farina per “il partito della pagnotta” sembra proprio finita. Una volta eletto, sarà difficile anche per uno come D’Alfonso rispettare tutte le ‘cambiali’ che va firmando con i cittadini nel corso dei suoi comizi.
Con questi presupposti, l’unica cosa di cui possiamo essere sicuri è che la prossima campagna elettorale ci regalerà ancora molte sorprese.

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