L’Aquila, giù le mani dalla città

fiction

Ultimamente si stanno intensificando gli incontri sulla ricostruzione e alcune ipotesi di disegno della città si stanno pian piano abbozzando all’orizzonte. Bene! Qualcosa si muove!

Purtroppo ogni tanto giungono in città dei profeti, dei manzoniani “azzeccagarbugli”, soloni della materia della ricostruzione che sparano soluzioni, tra le più disparate. Non si sa per quale motivo o finalità: per fare effetto sulla pubblica opinione, per ottenere preventivi consensi dai rappresentanti delle attività economiche, oppure “terrorizzare” i cittadini facendo apparire il futuro più nero di quello che è realmente.

Praticamente, da quello che ho potuto desumere, una delle ipotesi ventilate è che la città dovrebbe essere ricostruita a macchia di leopardo, lasciando in piedi solamente quegli edifici di interesse storico artistico già sottoposti a vincolo da parte della Soprintendenza. Gli altri, pur essendo dotati di particolari pregi, dovranno essere sottoposti ad una attenta analisi di costi/benefici, allo scopo di valutarne la possibilità di recupero, chiaramente, questi ultimi, per la maggior parte, di privati cittadini. A parte l’anomalia del concetto costi/benefici per edifici privati, si correrebbe il rischio di vedere espresso un giudizio negativo per molti immobili che sarebbero condannati, inesorabilmente, alla demolizione per consentire, eventualmente, agli speculatori, di poter riedificare l’immobile con moderni criteri e con il premio di cubatura. Perché no! Provate a fare un ipotetico accostamento: ricostruzione del Duomo e abbattimento e ricostruzione dell’immobile adiacente e confinante sulla sinistra con lo stesso Duomo. Nella zona un precedente del genere già esiste e, certamente, non è dei più ammirati ed azzeccati (vedasi la nuova sede delle Poste).

Questo genere di ipotesi i cittadini aquilani le hanno rifiutate in partenza. Non intendono essere ulteriormente mortificati e vessati, desiderando che, in proposito, si consultino e si esprimano anche le intelligenze aquilane che non sono poche e, oltretutto, più che quotate a livello nazionale.

Bene, chi dovrebbe essere il garante di tutto ciò? In tutta la vicenda, l’atteggiamento più sconcertante è stato quello del Sindaco della città. Silenzio e mutismo assoluto sulla vicenda. Ha aleggiato sulla sua testa la spada di Damocle, pronta a recidere l’incarico di vice Commissario della ricostruzione. Paura di perdere il potere commissariale, abulia completa sulla materia, indifferenza sulle dubbie sorti di rinascita della città? In sintesi si percepisce una confusione totale e posizioni ondivaghe. Non sono solamente queste le ragioni del suo silenzio. Ne manca una, la principale: la conflittualità istituzionale tra gli obblighi di primo amministratore del Comune, che dovrebbe fare i salti mortali per ottenere il massimo delle idee e delle risorse, e quella di vice Commissario attraverso la quale deve esprimere, invece, il massimo dell’obbedienza filogovernativa per contenere ai minimi livelli le aspirazioni di una popolazione, tesa a risollevare la testa per riconquistare i perduti equilibri.

Quali sono i risultati che si sono conseguiti a più di quindici mesi dal terremoto? Praticamente nulla di nulla.

Sarebbe il caso, perciò, che il Primo Cittadino invece di minacciare sempre più spesso le dimissioni da Sindaco, trovasse il coraggio della scelta più onorevole e coraggiosa per restituire dignità agli aquilani e salvare la città dalla totale distruzione degli “sciamani”: la restituzione del mandato di vice Commissario. Solamente così, con un’azione responsabile, forte e autorevole, potrebbe cercare di evitare di far mettere le mani sulla città riportando, in qualità di Sindaco, la possibilità di manovra nella contrattazione diretta della ricostruzione con la Regione e con lo Stato.

di Maria Cattini
[tratto da Gli Editoriali del Direttore – IlCapoluogo.it]

Torna in alto