Seminare una cultura del rispetto. Ultima vittima di stalking ieri sera

femminicidio

di Maria Cattini – «Ieri sera è stata accompagnata al pronto soccorso una donna con varie lesioni e il setto nasale rotto. Prognosi 30 giorni. Era accompagnata dal compagno che l’ha ridotta così». Pieremidio Bianchi della Polizia di Stato ha esordito con questo episodio parlando ad una platea di ragazzi di quarto superiore riuniti a L’Aquila, nell’aula magna dell’Itis Amedeo di Savoia duca d’Aosta, per riflettere di stalking, femminicidio e stereotipi femminili.
Con le parole di Luciana Litizzetto dal palco dell’Ariston, «un uomo che ti mena non ti ama», la professoressa Patrizia Tocci, mentre si muove tra decine di scarpe nere e rosse disseminate sul pavimento,  simbolo della lotta contro il femminicidio, ha introdotto questa festa come un momento di riflessione affinchè «non si debba più pensare all’8 marzo come un giorno dedicato alla donna».
Un’occasione per parlare di Legge 38 del 2009, in primis intitolata alle adozioni di misure urgenti di sicurezza, anti-stupro e stalking. ‘Stalking’, parola asettica ma dal contenuto terribile, che definisce quella somma di comportamenti persecutori che vanno dalle telefonate ai messaggi indesiderati, dagli appostamenti alle minacce per continuare o stabilire un rapporto che la vittima non vuole. Con un denominatore comune: la paura dell’abbandono, la gelosia, l’incapacità di elaborare un rifiuto, un disagio psicologico che non si riesce a fronteggiare da soli e che non si può cancellare con una denuncia o un ammonimento. Fino ad arrivare, nei casi peggiori, all’omicidio.
L’avvocato Solima Rosselli ha posto l’accento su quanto sia difficile reagire e denunciare. «Dal punto di vista informativo è determinante, per la vittima di stalking, ricorrere, prima della querela, all’ammonimento esponendo semplicemente i fatti avvenuti alla questura e presentando apposita istanza».
I dati del 2012: 124 donne uccise, il 48% dal marito, il 12% dal convivente, il 23% dall’ex. Dati sul femminicidio che mettono i brividi. Non sterili numeri ma storie raccontate, oggi in questa aula magna, attraverso le parole dei brani tratti dal libro di Serena Dandini “Ferite a morte”, enunciati da Moira, Chiara, Noemi e Michela.
Un viaggio per dire no al femminicidio, raccontando le storie di chi ha subito le ferite inferte da un marito, un padre o un fratello. Morti annunciate ma non scontate. «Il quinto figlio mi è rimasto in pancia sette mesi prima di nascere. Sono morta prima». «Avevamo il mostro in casa e non ce ne samo accorti». «Lo sapevano proprio tutti che avrebbe ammazzato. Un raptus improvviso di follia? A me la mia è sembrata una morte annunciata». «Mio padre, a modo suo, mi voleva bene. Poi però mi ha dovuto sgozzare».
Tanti gli spunti di riflessione ma anche indicazioni ai ragazzi su cosa fare, a chi chiedere aiuto, i comportamenti considerati a rischio, l’utilizzo della privacy sui social network.
Una bella strategia per seminare una cultura del rispetto.

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