Fuori da Facebook senza ragione. Un problema tecnico che fa riflettere

condanna per diffamazione su Facebook

“Il tuo account Facebook è stato disabilitato perché non rispetta i nostri Standard della community. Questa decisione non può essere rivista.” Il primo aprile, un numero ancora imprecisato di utenti Facebook in giro per il mondo, svegliandosi ha trovato questo messaggio sullo schermo del proprio smartphone, tablet o PC. E messaggio a parte si è ritrovato fuori da Facebook. Era il primo aprile il che ha fatto pensare a qualcuno a un pesce d’aprile ma sembrerebbe, invece, essersi trattato di un problema tecnico ora risolto da Facebook.

L’episodio, tuttavia, suggerisce qualche riflessione che trascende l’incidente. Facebook – assieme a una manciata di altri servizi online – è ormai diventato una parte integrante dell’infrastruttura civica nella quale e attraverso la quale viviamo. È come la rete idrica, quella energetica, quella stradale. Come le nostre piazze, l’illuminazione stradale o la sanità pubblica.

E, anzi, forse si avvia a diventare tutte queste cose messe insieme perché è crescente il numero dei servizi pubblici e privati ai quali accediamo anche attraverso Facebook.

E come reagiremmo se un giorno alzandoci scoprissimo che non abbiamo più energia elettrica a casa, non abbiamo più acqua, non possiamo più percorrere le strade delle nostre città perché non ci siamo comportati come i fornitori di questi servizi si sarebbero aspettati ci comportassimo e ci avevano imposto di comportarci, attraverso le loro condizioni generali di contratto che abbiamo accettato senza leggere?

Naturalmente chiederemmo e pretenderemmo spiegazioni. Vorremmo conoscere quale obbligo contrattuale abbiamo tradito.

E se non ci fosse spiegata la ragione della risoluzione del contratto o se ritenessimo di non esserci effettivamente resi inadempienti chiederemmo al fornitore del servizio di rivedere la decisione e, davanti al suo rifiuto, chiederemmo a un Giudice di ordinargli di riprendere la fornitura del servizio in nostro favore.

Nella dimensione digitale, tutto questo, è difficile, anzi, talvolta impossibile.

Nella vicenda del primo aprile, a prescindere dal fatto che si sia trattato di un problema tecnico, il messaggio che ha accolto gli utenti sulle pagine di Facebook si limitava a dire che l’account era stato bloccato per una non meglio precisata violazione degli standard della community.

E, soprattutto, chiariva subito che la decisione non avrebbe potuto essere rivista.

E la stessa cosa accade migliaia di volte, forse decine di migliaia di volte ogni giorno in giro per il mondo sulle pagine di Facebook e non solo di Facebook ma anche degli altri gestori di analoghi servizi digitali.

Una decisione unilaterale, normalmente senza contraddittorio, sempre o quasi sempre non contestabile e, soprattutto, priva di adeguata motivazione.

Eccola la riflessione, lontano anni luce da un pesce d’aprile, che l’incidente dell’altro giorno suggerisce: le piattaforme come Facebook sono, ormai, diventate troppo importanti nella vita delle persone perché i loro gestori possano continuare a gestirle come semplici giardini privati dai quali espellere, più o meno a loro piacimento, chicchessia, spesso senza neppure preoccuparsi di spiegare le motivazioni all’origine della decisione.

I gestori delle piattaforme in questione dovrebbero avere un obbligo giuridico di chiarire le ragioni all’origine della decisione in maniera puntuale e porre l’utente nella condizione di contestarla e, qualora la contestazione non dovesse avere successo, un Giudice o un’Autorità dovrebbero poter valutare la legittimità della decisione assunta dalla piattaforma e, eventualmente, ribaltarla.

Non è solo una questione di rispetto dei diritti degli utenti, è sempre di più un fatto di libertà di parola e di democrazia.

Avv. Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali

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