Dall'America arriva Job hopping. In Italia solo per le professioni digitali
Job hopping, o meglio chi “passa da un lavoro all'altro”:
professionista ICT, millennial, interessato a migliorare la propria condizione lavorativa, ecco l'identikit della nuova tipologia di lavoro che arriva dagli Stati Uniti.
Addio al posto fisso, almeno per le professioni digitali. Dopo le great resignation, le dimissioni di massa che dal 2018 a oggi, secondo una rielaborazione della società di recruitment Oliver James su dati Anpal Servizi, sono cresciute di circa il 65% (i dimissionari sono infatti passati da circa 350mila a 580mila nell’anno in corso), arriva dall’America una nuova tendenza, il job hopping.
Job hopping letteralmente “saltare da un lavoro a un altro”, un fenomeno più diffuso tra i millennial che lo utilizzano per assicurarsi stipendi più alti e un posto di lavoro con un miglior life-work balance.
E l’Italia non è certo immune da questa tendenza, che però è per lo più appannaggio delle posizioni in ambito IT.
Se usciamo dalle professioni digitali, però, il panorama è un po’ diverso.
Infatti, mentre in America il trend del Job hopping è già avviato - secondo l’ultimo report annuale di LinkedIn, negli Stati Uniti i millennial cambiano quasi 2,85 posti di lavoro nei primi cinque anni dalla laurea, contro una media di 1,6 della generazione precedente -, in Italia a fronte di una propensione dei millennial all’idea di cambiare lavoro con una frequenza biennale (secondo uno studio Deloitte), c’è tutto un contesto da considerare.
Job hopping: sì o no? I consigli del recruiter
Ma è davvero un’opportunità passare fare Job hopping? È senz’altro giusto guardare alle opportunità presenti sul mercato - dice Pietro Novelli, recruiter - ma può essere opportuno anche saper negoziare internamente alla propria azienda per avere una revisione del proprio pacchetto retributivo.
Per far questo è bene capire in quale tipo di azienda si lavora o, meglio, il tipo di politica retributiva adottata dall’azienda.
Ci sono due criteri per stabilire gli aumenti di stipendio: il criterio di equità (in egual misura per tutti) o per meritocrazia (in base all’andamento delle performance dei dipendenti) e ciascuno presenta vantaggi e svantaggi”.
E ancora: “Altre cose utili sono: comprendere e concordare le proprie salary e promotion review prima ancora di entrare in azienda; rendere nota al proprio interlocutore (HR o manager) la consapevolezza circa il valore della propria figura professionale”.
Ad esempio: sapere che “Il mercato offre X”, ti permette di non compromettere la tua posizione esplicitando eventuali processi selettivi e/o citando espressamente i colleghi di cui sei venuto a conoscenza circa il loro stipendio”.
E ancora: “Se si lavora all’interno di un’azienda fortemente meritocratica, portare a supporto i risultati delle proprie performance permetterà di presentarsi a un colloquio con un HR in maniera adeguata rispetto ai valori aziendali e, qualora i confronti interni di salary review o promozione non producano i risultati attesi, è possibile utilizzare i meccanismi di controfferta per far rilanciare la propria azienda”.
Infine, non sempre il cambio di azienda, per quanto spesso sia la modalità più veloce per migliorare la propria retribuzione, va di pari passo con la valorizzazione o miglioramento delle proprie competenze.
Spiega Novelli: “Nel lungo termine cambiare troppo spesso azienda può compromettere il proprio profilo professionale (scarsa profondità delle competenze acquisite, poca continuità con sfide progettuali e di trasformazione che necessariamente richiedono anni per essere finalizzate etc)”.
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