Il linguaggio come arma: la trappola retorica della "remigrazione"

Viviamo in un'epoca in cui le parole non sono più semplici strumenti di comunicazione, ma armi affilate nella guerra delle percezioni. Tra queste, poche sono più subdole di "remigrazione", un termine che un tempo significava "ritorno in patria" e che oggi viene brandito come un mantra da chi sogna un'Europa chiusa, omogenea, sigillata come una fortezza medievale. Ma non lasciamoci ingannare: dietro questa parola dall'apparenza inoffensiva si cela l'ennesima operazione di ingegneria semantica per rendere accettabile l'inaccettabile.
La destra radicale ha imparato la lezione meglio di chiunque altro: non servire gridare slogan apertamente razzisti, basta riscrivere il vocabolario. "Deportazione forzata"? Troppo brutale. "Epurazione etnica"? Impresentabile. Meglio parlare di "remigrazione", una parola dal suono morbido e vagamente burocratico, perfetta per addolcire la pillola di un'ideologia che resta sempre la stessa: escludere, separare, cancellare.
Dovremmo chiederci perché le parole come questa ascoltano con tanta facilità nel discorso pubblico. La risposta è semplice: perché il linguaggio non è mai neutro. Chi controlla le parole, controlla la narrazione. E chi controlla la narrazione, plasma la realtà.
Di fronte a questa manipolazione, l'indignazione non basta. Servono anticorpi culturali, servono a smascherare questi eufemismi tossici e riportare le parole alla loro verità. Se "remigrazione" oggi significa allontanare le persone con la forza sulla base della loro origine, allora chiamiamola per ciò che è: un'operazione di pulizia etnica mascherata da atto amministrativo. Basta con il politichese rassicurante, basta con la neolingua della discriminazione. Le parole sono importanti, ed è nostro dovere rifiutare di piegarci al loro stravolgimento.
Remigrazione: Strategie linguistiche e manipolazione
Non a caso, l'Università di Kassel ha identificato "remigrazione" come una delle "parolacce del 2023", evidenziandone l'uso eufemistico per mascherare pratiche di allontanamento disumano. Partiti di destra radicale come Reconquête in Francia, AfD in Germania e PVV nei Paesi Bassi hanno incorporato il termine nei loro programmi politici, contribuendo alla sua diffusione e normalizzazione nel dibattito pubblico. Questa appropriazione linguistica ha permesso di presentare politiche estreme sotto una veste apparentemente più moderata e accettabile.
L'uso del termine "remigrazione" ha contribuito a creare distinzioni artificiali all'interno della società, targetizzando non solo immigrati irregolari e richiedenti asilo, ma anche cittadini di origine straniera. Questo processo di categorizzazione linguistica ha implicazioni profonde sulla coesione sociale e sui diritti umani.
La diffusione del termine "remigrazione" ha generato un intenso dibattito pubblico su temi fondamentali come l'immigrazione, l'identità nazionale e il multiculturalismo. Questo dimostra come il linguaggio non si limiti a descrivere la realtà, ma contribuisca attivamente a plasmarla, influenzando le percezioni sociali e orientando il discorso pubblico.
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