Dove vuole arrivare Putin?

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Con il riconoscimento da parte di Putin delle repubbliche separatiste del Donbass la crisi si aggrava ulteriormente. Scholz chiude Nord Stream 2 e il Regno Unito approva nuove sanzioni, mentre l’UE cerca una linea comune.

Ma la vera domanda che tutti gli attori in campo ora si pongono è: dove vuole arrivare Putin?

Nonostante il Segretario di Stato americano Blinken e il ministro degli esteri francese Le Drian abbiano oggi cancellato gli incontri previsti con il loro omologo russo Lavrov, l’Occidente spera ancora in una risoluzione diplomatica. E così non c’è per ora traccia di alcune delle sanzioni più dure discusse negli ultimi mesi, tenute da parte come deterrente per una possibile ulteriore escalation in Ucraina. 

Per esempio, la Russia non è stata esclusa dal sistema di pagamenti globale Swift, può ancora effettuare transazioni finanziarie in dollari e importare tecnologie americane. Misure che se introdotte sarebbero capaci di danneggiare più profondamente l’economia russa ma anche quelle degli alleati, specie europei, molto più legati economicamente a Mosca rispetto agli USA.  

Nel 2014 le sanzioni occidentali, in combinazione con il crollo dei prezzi del petrolio, portarono a una riduzione del PIL russo del 2,5%. Da allora, la Russia ha ridotto la sua dipendenza dal dollaro e dagli investimenti stranieri. Le riserve internazionali, in valuta estera e oro, sono a livelli record: 40% del suo PIL (contro il 9% detenuto dalle banche dell’eurozona). E solo il 13% è in dollari, rispetto al 40% di cinque anni fa.  

Tuttavia, l’economia russa non è impermeabile a questa situazione di crisi. Anche i tassi di interessi sui titoli di stato sono ai massimi degli ultimi sei anni e l’indice azionario di Mosca ha perso più del 30% da ottobre. 

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L’economia russa è diventata davvero a prova di sanzioni? 

Stati Uniti, UK, UE. Ma anche Australia, Canada e Giappone. Questi i paesi che tra ieri e oggi hanno imposto nuove sanzioni contro la Russia. Una reazione internazionale coordinata come nel 2014, in risposta all’invasione della Crimea, ma dai contorni diversi. Come nel 2014 vengono presi di mira oligarchi, parlamentari russi e le enclavi separatiste.  

Si è però anche concordato il congelamento dei beni di alcune (medio-piccole) banche russe. Nonché il divieto per Mosca di accedere ai mercati finanziari e di capitali occidentali per rendere più complicato il finanziamento del suo debito sovrano. Eppure, anche considerando la tanto attesa decisione della Germania di sospendere l’autorizzazione del Nord Stream 2, non si tratta della risposta massiccia minacciata per mesi da Biden e alleati. 

Le interpretazioni creative consentono all’Europa di andare alla ricerca di un compromesso. Ma mettono anche in luce tutte le sue debolezze. Innanzitutto, il fatto di trovarsi in casa alleati di Putin: come nel 2014, l’Ungheria di Orban rischia di essere il cavallo di Troia di Mosca, costringendo Bruxelles a una risposta ridotta (e offrendo un paravento ad altri governi “scettici”). 

Già, perché le sanzioni l’Ue le adotta all’unanimità. E se finora Budapest ha dichiarato di essere “allineata” con i suoi partner europei, i dati parlano chiaro: l’Ungheria è il paese Ue che è stato più penalizzato dalle sanzioni del 2014 (-2% del PIL tra 2014 e 2017). 

Quanto durerà questa ritrovata unità? 

Almeno mezza Europa soffre in maniera sproporzionata la sua “dipendenza” dal gas russo. Da giugno il Cremlino ha sapientemente ridotto del 25% le forniture. Rispettando tutti i contratti di lungo periodo, certo, ma facendo quadruplicare i prezzi del gas in Europa, con conseguenze su famiglie e imprese. Così i governi cercano una scappatoia per evitare di imporre sanzioni sull’energia. 

In questo senso, l’azione militare sinora limitata di Mosca apre a risposte altrettanto limitate da parte dei paesi europei, a seconda dell’interpretazione che si dà di quanto accaduto. L’ingresso di truppe russe nel Donbass è una “invasione”, come da tempo dichiarato da Biden? Eppure, era stato lo stesso Biden a lasciarsi scappare che una “incursione” avrebbe invece ricevuto risposte più contenute rispetto ad azioni più gravi, come la presa di Kiev. 

Diversi siti web istituzionali ucraini, secondo quanto riportato dalla Bbc, sarebbero stati colpiti da un massiccio attacco informatico. Tra i portali colpiti vi sarebbero quelli del Parlamento, del Ministero degli Esteri e dei servizi di sicurezza, che al momento risulterebbero infatti irraggiungibili.

Una cosa è certa: la crisi tra Russia e Ucraina è in continua evoluzione e gli esiti sono ancora incerti per tutti.

Fonte dati: ISPI

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