L’ANALISI DEL VOTO – L’Abruzzo non è una regione per giovani

di Maria Cattini – Alla fine gli abili e algidi calcoli elettoralistici di Luciano D’Alfonso, neo presidente della Regione Abruzzo, erano giusti. Con le sue otto liste di appoggio, big Luciano pronosticava una base vincente di almeno 300 mila preferenze. E ne ha prese ben 317 mila, a dispetto dei più scettici. Certo, nel trionfo del risultato finale, il Pd abruzzese porta a casa un misero 23%, 17 punti in meno della media nazionale, dopo aver registrato un risultato mediocre anche alle europee (33%), ben lontano dal 40% ottenuto su base nazionale da Matteo Renzi.

Hanno funzionato benissimo, invece, i candidati delle altre 7 liste civetta messe in appoggio del D’Alfonso, quasi tutte premiate con il premio di maggioranza. Da oggi, uno dei principali impegni politici del neo governatore abruzzese sarà proprio quello di gestire e farsi riconoscere come leader indiscusso da tutte queste anime chiamate a rappresentare la parte più democristiana del suo centrosinistra. Dopo aver firmato così tante cambiali politiche, i conti dovranno essere fatti con i soli sei i posti a disposizione nella sua nuova Giunta, il taglio delle poltrone imposto dal Governo Monti e quello ulteriore che dovrebbe avvenire tra due mesi, con la promessa “spending review” del governo Renzi. Senza parlare dell’imminente fiscal compact, che dal prossimo anno renderà ancora più difficile essere di manica larga con le finanze pubbliche. Solo ieri sera, al margine dei riti di festeggiamento per la sua elezione, D’Alfonso dichiarava alla stampa di non conoscere ancora lo stato del bilancio regionale per capire come muoversi “veloce” per risolvere i problemi dell’Abruzzo. Evidentemente, tra gli impegni di una serratissima campagna elettorale e le letture sulla vita di San Filippo Neri, nessun consulente o sacerdote deve avergli ricordato che i bilanci degli enti pubblici sono per legge on line e facilmente consultabili da chiunque.

Molti commentatori hanno evidenziato- e lo stesso interessato si è guardato bene dal smentire- che dietro D’Alfonso si nasconderebbero dei forti interessi economici: quelli delle cliniche private, della chiesa in tutte le sue declinazioni, degli imprenditori amici. O più semplicemente delle migliaia di cittadini assunti e stabilizzati nel corso di questi ultimi 15 anni all’interno della Provincia, del Comune, delle Ato, dell’Aca, delle decine di società di servizi che hanno appalti con enti pubblici.
Ma l’aspetto che dovrebbe preoccupare di più per il futuro della nostra Regione, è proprio l’anacronistico approccio alla cosa pubblica di Luciano D’Alfonso, vera croce e la delizia del suo personale successo politico. Per tutta la campagna elettorale, l’ex sindaco di Pescara ha usato un linguaggio desueto, fintamente colto, con continui richiami a Dio e alla religione, rivolgendosi direttamente all’elettorato più anziano e  sensibile alla promessa, ad esempio, di essere “portato in braccio” nei presidi ospedalieri. I tanti, troppi anziani abruzzesi- statisticamente più numerosi dei giovani- sono ancora incapaci di accedere un computer o di comprendere a cosa serva una prenotazione on line e preferiscono di gran lunga fare la fila. Non che gli “esperti” informatici della Regione Abruzzo, nel corso delle scandalose operazioni di scrutinio elettronico dei voti, abbiano dato dimostrazione di capirne molto di più. 
Gli anziani abruzzesi, orfani inconsolabili di zio Remo, non sanno usare Facebook ma ascoltano le metafore di D’Alfonso senza neanche il bisogno di capirle. A loro sono bastate vaghe suggestioni per tornare indietro nel tempo, a quando la Dc garantiva un po’ di pane a tutti e magari un posto di lavoro per i propri nipoti. E quindi per votarlo in massa. Un Abruzzo antico che per D’Alfonso oggi rappresenta la “carne viva”- sicuramente del suo elettorato- da difendere e tutelare. Ed infatti, nel corso della sua campagna elettorale, poche sono state le parole per i giovani sui quali pesa ancora tutto l’enorme debito lasciato dalla sua tanta amata Dc. D’Alfonso non li comprende, come i giovani non comprendono il suo linguaggio arcaico e barocco.
Dopo tutto anche De Gasperi, nel 1946, riusciva a raccomandare ai giovani d’allora: “imparate una lingua e andate all’estero”. Dopo quasi sessant’anni, nell’Abruzzo di D’Alfonso i “giovani” sono ancora politicamente insignificanti per avere un peso politico degno di attenzione.

Lo conferma il risultato poco esaltante rispetto alle previsioni del Movimento 5 stelle, che raccoglie non a caso per più del 50% proprio dai voti dei giovani tra i 18 e i 30 anni. Troppo pochi per permettere anche alla grillina Marcozzi di arrivare almeno seconda nella competizione. I voti dei giovani avrebbero potuto essere più d’aiuto a Chiodi, che quantomeno ha fatto della battaglia al debito l’unico punto qualificante della sua passata esperienza governativa. Ma Berlusconi era un testimonial troppo vecchio e appassito, oltre che detenuto, per entusiasmare chi oggi è abbastanza giovane e disperato da progettare solo il sogno di fuga dal Paese pur di avere un futuro più promettente.

Non ci resta quindi che aspettare la proclamazione degli eletti per verificare quanto sarà veramente “facile” e “veloce” l’Abruzzo evocato da D’Alfonso. Già dai prossimi giorni scopriremo se il nuovo Presidente, che promette in continuazione di voler seguire i consigli della madre e di non farsi nemici,  sarà abbastanza abile da gestire le bulimiche rivendicazioni di “appartenenza”, tipiche di una certa sinistra italiana, con le esigenze di competenza indispensabili per garantire un efficiente funzionamento dell’Amministrazione.

“Su tre, almeno uno lo assumevamo perché era bravo”, amava ricordare sempre anche Remo Gaspari. Ma c’è chi si dice convinto che i “sarti” dei politici di una volta, in realtà, non esistono più.

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