Twitter si difende da acquisizione di Elon Musk

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Twitter annuncia piano per difendersi da acquisizione di Elon Musk. Il consiglio di amministrazione di Twitter ha approvato all’unanimità un piano per proteggersi dall’acquisizione da parte del multimiliardario Elon Musk, co-fondatore di Tesla e SpaceX.

Il piano, noto come “pillola di veleno” in finanza, impedirebbe a chiunque di diventare azionista della società oltre il 15%. Un sistema che aumenta e rende più costose le azioni da acquistare per proseguire la scalata finanziaria a una società.

Elon Musk ha infatti recentemente offerto 43,4 miliardi di dollari per acquisire l’azienda, sostenendo di volerne liberare lo “straordinario potenziale” per sostenere la libertà di parola e la democrazia nel mondo. “Twitter ha bisogno di essere trasformata in un’azienda privata per restare il baluardo della libertà di espressione”, ha dichiarato il miliardario americano. L’offerta di Musk per acquisire il 100 per cento di Twitter era di 54,20 dollari ad azione per un totale di 43 miliardi. Musk possiede già il 9.2 per cento dell’azienda.

La durata del piano è limitata e non andrà oltre il 14 aprile 2023.

Cronistoria di un’OPA ostile

Nel novembre del 2021, il fondatore di Twitter, Jack Dorsey, annunciò le sue dimissioni da CEO dell’azienda asserendo che questa fosse ormai «pronta ad allontanarsi dai suoi fondatori». Una presa di posizione amara, se si considera che gli investitori avevano passato i mesi precedenti a fare pressioni per mettere alla porta il controverso dirigente. Pochi mesi dopo dal suo abbandono, Elon Musk si è insediato all’interno dell’impresa e la Borsa è impazzita di gioia. L’avvento di Musk è stato ufficializzato il 4 aprile con l’acquisto del 9,2% delle azioni previa una transazione da circa 2,89 miliardi di dollari. Una percentuale che non concede all’eccentrico miliardario il controllo assoluto dell’azienda – per quello necessiterebbe almeno il 14,9% -, ma che lo eleva in cima alla lista degli azionisti, superando non di poco l’8,8% controllato dal fondo Vanguard. Jack Dorsey, per la cronaca, ha in mano solamente il 2,3% delle azioni.

Alla dirigenza del social resta in ogni caso il relativamente poco noto Parag Agrawal, tuttavia l’uomo più ricco del mondo è entrato a pieno diritto nel Consiglio di Twitter. Agrawal, Dorsey e Musk condividono d’altronde la fantasia di “decentralizzare” il social network tramite un protocollo aperto. Dorsey ha più volte dato voce alla necessità di combattere la disinformazione e l’abuso di internet come mezzo di manipolazione delle masse, Musk vorrebbe invece puntare su un mondo internettiano dove la “libertà di parola” è garantita a ogni costo, seguendo il filone di pensiero di imprenditori e politici che rinnegano con vigore il valore intrinseco del fact cheking.

Come ha rivelato il The New York Times, la sua adesione al Consiglio non è stata accompagnata, allora, dalla firma di un contratto che gli andrebbe altrimenti a impedire di influenzare le policy della Big Tech, contratto che molti suoi omologhi hanno invece dovuto siglare.

Il Washington Post ha raccolto diversi commenti dei dipendenti di Twitter sulla possibilità dell’arrivo di Musk:

«Sappiamo che ha causato danni ai lavoratori, alla comunità trans, alle donne e ad altri con meno potere nel mondo.Come faremo a conciliare questa decisione con i nostri valori? L’innovazione ha la meglio sull’umanità?

Musk è l’uomo più ricco del mondo, valutato 259 miliardi di dollari dal Bloomberg Billionaires Index, ma secondo un’analisi pubblicata da Bloomberg, in questo momento la liquidità di Musk arriverebbe a 3 miliardi di dollari. Una cifra ben lontana da quei 43 miliardi di dollari necessari per l’acquisizione. La maggior parte della ricchezza dell’imprenditore deriva dalle sue aziende ed è per questo che in certi periodi è molto fluttuante. Nel marzo del 2021 ad esempio aveva perso 27 miliardi di dollari in una settimana dopo un aggiustamento in Borsa del prezzo delle azioni di Tesla. Musk potrebbe recuperare i soldi necessari all’acquisizione di Twitter in vari modi, dalla vendita di azioni Tesla a un prestito bancario che ha come garanzia proprio le sue aziende. In entrambi i casi si tratta però di opzioni rischiose.

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